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Facebook ascolta le conversazioni per proporre pubblicità

Facebook ascolta le conversazioni degli utenti per proporre pubblicità mirate ed estremamente aderenti a ciò di cui stanno parlando per iscritto o addirittura a voce? Potrebbe sembrare di sì viste le numerosissime segnalazioni, che però potrebbero al tempo stesso avere spiegazioni realistiche e non così sensazionaliste.

Quanto di vero c’è attorno a questa possibilità che vede la comparsa di banner che si riferiscono – guarda un po’ – a qualcosa del quale abbiamo parlato a un nostro contatto online, quasi che l’advertising possa sfruttare tutte le tecnologie, già esistenti, per il riconoscimento evoluto e preciso delle conversazioni? Facciamo il punto.

Il caso tipo è questo: stiamo parlando a voce o per iscritto con un nostro amico, parente o contatto su Facebook ad esempio della nuova pizza gusto xyz della marca abc. Il caso vuole che nella nostra timeline appaia proprio un post sponsorizzato dalla marca abc sulla sua pizza gusto xyz, quasi come se fosse stato ascoltato il nostro discorso. Come è possibile?

La spiegazione complottista

Partiamo dalla spiegazione complottista ossia che sì, è proprio vero che Facebook va ad ascoltare le nostre conversazioni per proporci pubblicità mirate. Come è possibile? Attraverso il microfono posizionato sul nostro smartphone o addirittura PC viene ascoltata la voce e convertita in testo che viene dato in pasto agli algoritmi che ne decifrano il significato.

Da lì è un gioco da ragazzi accostare una pubblicità che segua proprio le indicazioni del riconoscimento vocale o del testo. Pubblicità per Facebook che appariranno come post sponsorizzati ad hoc. È arrivata, però, la smentita di Rob Goldman, vicepresidente per il settore pubblicità Facebook: “Non è semplicemente vero, non abbiamo né ora né mai usato il microfono per le pubblicità”.

La spiegazione realista

C’è una spiegazione meno affascinante, ma più realista del fenomeno. Le pubblicità si basano effettivamente sulle informazioni che abbiamo immesso al momento della registrazione, di ciò che “regaliamo” alla società compilando i vari campi del nostro profilo e in base a ciò che condividiamo. Insomma, sfruttano le info che noi stessi spifferiamo a Facebook.

Inoltre, può anche essere dovuto a un fenomeno psicologico per il quale prestiamo più attenzione a ciò che abbiamo discorso nei tempi recenti, tralasciando tutte quelle altre volte che le pubblicità non corrispondevano affatto alle nostre conversazioni più recenti.
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Diego Barbera

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