Troviamo le giuste soluzioni alle interferenze - (tecnocino.it)
Negli ultimi mesi diverse realtà online stanno osservando la progressiva riduzione del traffico organico verso i propri siti web. Non si tratta di un evento casuale o limitato a pochi settori: la tendenza è diffusa, trasversale e riguarda tanto i piccoli blog quanto i portali aziendali. A cambiare, oltre all’algoritmo, è soprattutto il comportamento degli utenti, che oggi si informano e interagiscono con i contenuti in modi nuovi, più rapidi e meno lineari rispetto al passato.
Chi cerca informazioni online inizia a farlo senza più entrare in un sito web. I risultati generati dalle AI nei motori di ricerca, le risposte in tempo reale fornite dagli assistenti vocali o testuali, i contenuti verticali offerti da social come TikTok, stanno erodendo porzioni generose di traffico. Al tempo stesso i nuovi strumenti come Google SGE, Perplexity e ChatGPT diventano veri e propri intermediari informativi.
Per tutte queste premesse, e per le ragioni che analizzeremo qui di seguito, il consiglio è molto semplice: affidati a un consulente SEO esperto perché, oltre a nuovi spazi da presidiare, esistono oggi diverse strategie per rafforzare l’efficacia dei contenuti online e rispondere a questi cambiamenti strutturali.
Uno degli errori più frequenti è pensare che il traffico “perso” sia semplicemente svanito. In realtà, si è redistribuito su piattaforme alternative.
Gli utenti passano sempre più tempo a consultare brevi video, thread sintetici, risposte dirette generate da intelligenze artificiali o suggerimenti forniti senza dover entrare nei siti web. Questa dinamica riduce il numero di clic, ma non l’interesse verso i contenuti: ciò che cambia è il modo in cui vengono ricercati e consumati.
La comparsa di funzioni come la “panoramica AI” nei risultati di ricerca di Google, le box di riepilogo e la maggiore prominenza delle fonti ufficiali ha ridotto la visibilità dei siti minori, soprattutto se poco aggiornati o costruiti con logiche datate. L’informazione si è fatta più liquida, frammentata in micro-contenuti, e ciò obbliga editori e brand a ripensare la presenza online in termini di qualità e specializzazione, non di quantità e volume.
Questo non significa che il sito debba diventare secondario, ma che va reintegrato all’interno di un ecosistema di contenuti più ampio, capace di accompagnare l’utente ovunque si trovi, anticipandone le esigenze e offrendo risposte puntuali.
L’uso disinvolto dell’intelligenza artificiale generativa ha contribuito ad aumentare il rumore di fondo online. Molti siti web si sono riempiti di articoli generici, prodotti in serie, privi di contesto o verifica.
Non si tratta di un problema etico, ma di un limite tecnico: le AI non sono strumenti autonomi, non fanno fact checking e non hanno senso critico. Senza input umani competenti, producono testi che sembrano informativi, ma che non aggiungono alcun valore.
Google e altre aziende tech hanno già evidenziato come i contenuti ripetitivi, privi di esperienza e scritti solo per intercettare le ricerche, siano destinati a perdere visibilità. Se l’intero web si riempisse di versioni indistinte della stessa risposta, anche i motori di ricerca diventerebbero meno efficaci, danneggiando tutti, utenti compresi.
Questa deriva penalizza non solo chi la adotta, ma anche chi lavora con rigore. Se anche i siti autorevoli iniziassero a pubblicare testi scopiazzati, si perderebbe quel riferimento qualitativo che aiuta a distinguere l’approfondimento dal rumore. Ecco perché oggi serve una maggiore responsabilità editoriale e un investimento mirato su ciò che davvero costruisce autorevolezza online.
Il traffico si può recuperare, ma bisogna andare contro corrente. La prima scelta da fare è quella di non seguire scorciatoie: i contenuti devono tornare a essere pensati per l’utente reale, non solo per l’algoritmo. Servono contenuti che mostrino competenza, che derivino da esperienza diretta o da analisi approfondite, e che rispondano a domande reali. Non basta scrivere per “riempire il blog” perché è necessario interrogarsi su cosa davvero interessa all’utente e come offrirglielo nel modo più efficace.
È chiaro che, per fare un buon lavoro, bisogna far riferimento a figure con esperienza nella SEO e nella content strategy. Chi conosce le dinamiche di ranking e sa leggere i segnali degli algoritmi può costruire un piano editoriale che funzioni davvero. Anche perché non bisogna “battere” le AI o i social, ma coesistere con essi, integrando nuove tecnologie e piattaforme senza snaturare la propria identità digitale.
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